Federico di  Giorgi

Federico di Giorgi

Covid-19, dal 15 giugno riaprono i teatri italiani.

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Finalmente una bella notizia per il settore della cultura. Dal 15 giugno riaprono i sipari dei principali teatri italiani, garantendo un ampio e variegato palinsesto di eventi ed attività ludico ricreative per lo svago e il divertimento dei bambini, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza imposte dall'emergenza epidemiologica da Covid-19

Ad annunciare la notizia il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso della conferenza stampa svolta a Palazzo Chigi lo scorso sabato 16 maggio. Ma come e con quali restrizioni si potrà tornare ad assistere ad uno spettacolo teatrale? Negli spazi chiusi non potranno accedere più di 200 persone, mentre nei luoghi aperti 1.000. Sarà obbligatoria la prenotazione online del posto a sedere, che verrà assegnato mantenendo un distanziamento di almeno un metro tra spettatori. 

Sulla base di questo protocollo quasi sicuramente alcuni spettacoli andranno rivisti e/o ripensati per evitare di avere troppi attori sul palcoscenico, con l'inevitabile rischio di propagazione del Coronavirus. Tuttavia, c'è ancora un mese per prevedere le dovute contromisure, sperando che nel frattempo la situazione sanitaria possa continuare a migliorare ulteriormente, consentendo alle persone di ritornare gradualmente a quella normalità che tanto sta mancando agli italiani in queste settimane di quarantena in casa

Nel frattempo, una certezza c'è: dal 15 giugno anche il mondo della cultura riparte dopo un lungo e prolungato pit stop che ha messo a dura prova uno dei settori cruciali per lo sviluppo del nostro Paese che genera circa un milione e mezzo di occupati, pari al 16% del prodotto interno lordo (PIL) italiano. 

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La storia dei fratelli Bisaglia, vittime di trame ed intrighi politici.

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Una storia complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti. Sono ancora molti gli enigmi e le domande senza risposta che colorano di giallo le morti dei due fratelli, Antonio Bisaglia, noto esponente della Democrazia Cristiana tra il 1972 e il 1980, morto il 24 giugno 1984 a Santa Maria Ligure, e don Mario il sacerdote trovato cadavere il 17 agosto 1992 nel Lago di Centro Cadore uno spicchio d'acqua artificiale situato in Cadore, tra gli abitanti di Pieve e Lozzo, in provincia di Belluno. Sino a poco tempo fa si associava la morte di queste due persone ad un destino infame e a volte crudele. Solo successivamente la Procura di Belluno, ha scoperto, dopo accurate analisi e rilievi eseguiti sul cadavere, che il prete non si è per nulla suicidato: in quelle acque ci finì già morto, forse soffocato.

Fu l'allora inquilino di Montecitorio Mario Borghezio, il primo a scuotere la testa davanti alla strana ricostruzione della vicenda. In un'interrogazione parlamentare, presentata in data 15 febbraio 1993 al Ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Battista Conso, il deputato ed europarlamentare della Lega Nord collegò la tragica fine dell'ex Ministro Antonio Bisaglia, avvenuta nel lontano 1984, a quella del fratello dello stesso, Don Mario Bisaglia, annegato nel 1992. Secondo Borghezio le due morti rappresentarono un quanto mai singolare caso d'inchieste svolte con accuratezza, senso del dovere e approfondimento non tanto dai competenti organi giudiziari del tempo, ma bensì da coraggiosi e scaltri giornalisti intesi ad oltrepassare, con amore di verità e pura coscienza professionale, il muro del silenzio che si era inevitabilmente eretto attorno alla tragica scomparsa dei due fratelli Bisaglia. 

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI.

Era una domenica di giugno del 1984 quando il capo dei dorotei, parlamentare dal 1963 al 1979, tre volte ministro, morì all'età di 55 anni durante una consueta gita in barca a vela al lago di Portofino, in compagnia della moglie Romilda Bollati spostata appena un anno prima. La ricostruzione fornita dagli investigatori attribuì la colpa dell'accaduto ad un'improvvisa onda anomala. Fu proprio lo stesso Borghezio il primo a non crederci: numerosi indizi e particolari, quali ad esempio il singolare ritrovamento della bandiera dello yacht Rosalu di proprietà della moglie, e il numero effettivo di passeggeri che effettivamente si trovavano a bordo (mai chiarito), facevano intendere che il giallo di questa morte accidentale somigliasse piuttosto alla fine di Calvi che ad un normale incidente nautico. Questo spinse il parlamentare del Carroccio ad interrogarsi a lungo sul fatto che lo stesso magistrato inquirente sulla morte del senatore Bisaglia, il dottor Marcello D'Andrea, ammise di non aver ritenuto opportuno disporre un sopralluogo il giorno stesso del tragico fatto. Sulla morte del noto senatore non si diede pace nemmeno Don Mario Bisaglia, trovato cadavere nel Lago di Cadore. Il suo corpo restò in acqua per almeno due giorni. Nelle tasche dei pantaloni e sotto la maglietta del prete furono rinvenute delle pietre, dei sassi e perfino un foglietto contenente degli appunti. Nei calzini erano invece arrotolate 850 mila lire. Nel 2003 il pubblico ministero Raffaele Massaro riaprì l'indagine su questo misterioso suicidio. Dopo aver disposto la riesumazione della salma, si scoprì che nei suoi polmoni non c'era alcuna traccia delle tipiche alghe cadorine: insomma Don Mario non sarebbe morto per annegamento, ma piuttosto per soffocamento. Il suo corpo pare che sia stato recuperato in fretta da un aereo militare italiano e la salma seppellita in cimitero senza nemmeno essere stata sottoposta ad autopsia. Per gli inquirenti il verdetto fu suicidio. Quello su cui si è certi è che il religioso aveva fin dall'inizio manifestato molteplici dubbi e perplessità sulla presunta morte del fratello Toni specie dopo che, tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992, aveva espressamente raccontato di aver appreso da alcuni fedeli nel segreto della confessione, particolari estremamente importanti sulla sua scomparsa. Notizie ed informazioni che lo avevano profondamente turbato, tanto da voler cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Don Mario comunque non si perse certo d'animo e mise subito al corrente alcuni suoi amici e conoscenti su quanto egli aveva scoperto sulla morte del fratello.

Su queste nuove basi il magistrato ritenne del tutto improbabile che Antonio Bisaglia si volle suicidare, lasciando aperta l'unica ipotesi alternativa a quella dell'incidente. A sostegno di questa tesi vennero acquisite anche diverse testimonianze: in particolare gli inquirenti posero particolare attenzione a quella di un amico del sacerdote al quale Don Mario aveva confidato, proprio il giorno prima di scomparire, che l'indomani avrebbe avuto un incontro con alcune persone al quale teneva particolarmente, tanto da far spostare la celebrazione della messa del mattino alla Casa di Cura Città di Rovigo, pur di giungere in perfetto orario nel luogo dell'appuntamento.

Ma in tutta questa misteriosa e surreale vicenda spicca un'altra storia inquietante. Il suicidio di Gino Mazzolaio, l'ex cassiere di spicco della DC polesana, finito in carcere il 16 marzo 1993 nell'ambito dell'inchiesta condotta dal PM veneziano Carlo Nordio sugli appalti della Sanità Veneta, per la quale erano già state emesse 27 ordinanze di custodia cautelare e decine di avvisi di garanzia. Il corpo di Mazzolaio, scomparso il 23 aprile 1993, venne ritrovato una settimana dopo nelle acque dell'Adige, all'altezza di Anguillara Veneta un comune della provincia di Padova, conosciuto alle cronache per essere il paese originario della famiglia del presidente brasiliano jair Bolsonaro. 

Questo ennesimo caso di morte sospetta spinse il Procuratore della Repubblica Fabio Saracini a farsi consegnare dai colleghi di Chiavari il fascicolo relativo alla morte del senatore ed ex ministro democristiano Toni Bisaglia. Dopo un'attenta analisi e lettura degli atti, l'ipotesi del suicidio apparve sempre meno probabile. Inoltre il PM sostenne che Don Mario non aveva nessun motivo valido per porre fine alla sua vita: tant'è che aveva già programmato delle visite e degli impegni per i giorni successivi. Le ipotesi che potevano rimanere in piedi erano la disgrazia oppure l'omicidio. Pur riuscendo ad allargare l'inchiesta anche ad altre persone e coinvolgendo più città italiane, il 21 marzo 1997 le meticolose indagini avviate dalla magistratura di Belluno sulla morte di Don Mario Bisaglia si conclusero con l'archiviazione, decisa dal GIP Antonella Coniglio su richiesta del Procuratore Mario Fabbri, che sostituì Saracini morto un anno prima.

Ma a dare una significativa svolta a questa oscura vicenda di cronaca nera ci pensò nel luglio del 2003 un esposto in cui un cittadino, direttamente interessato ad un particolare della vicenda, fornì elementi che spinsero il PM Raffaele Massaro a riaprire l'indagine effettuando un nuovo esame autoptico della salma del sacerdote. La consulenza affidata a due diversi anatomopatologi, confermò che il decesso del prete non sarebbe avvenuto per annegamento, ma bensì per una forma di soffocamento provocata senza atti violenti. A conferma di questo l'assenza di diatomee nel fegato, nel midollo e, soprattutto, nei polmoni della vittima. Ma c'è di più: secondo gli investigatori l'omicidio di Mario Bisaglia poteva essere strettamente legato alla tragica fine del fratello. A far supporre quest'idea pare che il prete si stesse recando in Cadore per consegnare ad alcuni giornalisti documenti importanti che riguardavano la morte del fratello. Tuttavia non fu mai possibile risalire agli esecutori o mandanti di questo delitto e, per tanto, nel 2007 l'inchiesta venne definitivamente archiviata. 

A riportare a galla questa storia assai complicata, ricca di misteri e di situazioni inquietanti, non poteva che essere il poliedrico attore e regista feltrino Roberto Faoro, nello spettacolo teatrale "Annegati di Terra. La storia dei Fratelli Bisaglia", portato in scena per la prima volta il 18 ottobre 2014 al Teatro Comunale di Belluno in sinergia con la Città di Feltre e la Provincia di Belluno e coprodotto con TIB teatro e l'Associazione Culturale Teatro del Cuore. 

Annegati di Terra racconta un'altro mistero inquietante e ancora poco conosciuto della storia italiana: un intreccio di interessi politici, culturali e di numerosi scandali che non si conclude solo con la morte dei due fratelli Bisaglia, ma che miete vittime anche nello stesso entourage del potente ministro. Un valido esempio di teatro civile che si ispira al libro inchiesta "Gli Annegati"(1992 - Sperling & Kupfer) scritto a quattro mani dai giornalisti Carlo Brambilla e Daniele Vimercati. La storia dei Fratelli Bisaglia è stata anche divulgata attraverso un film realizzato da Faoro con il supporto del regista Federico Bertozzi, vincitore del premio Flaiano 2002 e Opera Estate nel 2004, che ha partecipato anche come attore alla grande stagione del teatro di narrazione collaborando con Gabriele Vacis, Mario Baliani e Laura Curino. Il testo di cui è autore Roberto faoro nel 2019 ha ricevuto la menzione speciale nella sezione Teatro al Premio Internazionale Salvatore Quasimodo. 

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La storia dello spazio teatrale, dagli albori ai giorni nostri.

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La storia della scenografia e dell'architettura teatrale non può essere compresa e raccontata senza fare alcun riferimento ai generi, alle forme e ai principali eventi che hanno caratterizzato la storia del teatro italiano ed europeo. Questa disciplina si è rivelata un'importante cartina tornasole per il pubblico, quando spettacoli e rappresentazioni teatrali hanno cominciato ad includere sempre più cast numerosi, trame complesse e articolate e location diverse.

All'inizio la scenografia consisteva in semplici e rudimentali sfondi di dipinti, ai quali gli oggetti di scena si sono aggiunti solo successivamente a partire dal Diciannovesimo secolo, per assumere maggiore rilevanza e importanza. Con questo articolo vogliamo far compiere al lettore un viaggio alla scoperta della rappresentazione dello spazio scenico, che ha portato nel corso dei secoli alla nascita e allo sviluppo dei moderni edifici che oggi tutti noi conosciamo, luoghi sempre più funzionali e strutturati capaci di ospitare spettacoli teatrali o altri eventi culturali come concerti musicali, letture di poesie, workshop e conferenze, spettacoli di danza, allestimenti di opere liriche (teatro dell'opera) e altri intrattenimenti.

DAGLI ALBORI ALLE ORIGINI: IL TEATRO GRECO.

Prima dell'avvento della civiltà greca gli edifici teatrali progettati in quanto tali erano un numero esiguo: rientravano per lo più in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come ad esempio il cortile delle feste del Palazzo di Festo a Creta, caratterizzati da uno spazio circondato per tre lati da gradinate in grado di ospitare fino a cinquecento spettatori venuti ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle tauromache, ovvero combattimenti fra leoni, o fra bovini e uomini molto simili per tipologia e modalità alla corrida spagnola.

Nell'antica Grecia l'edificio teatrale nella sua forma più matura, era composto principalmente da tre elementi: la Cavea nella quale erano disposte le gradinate con i sedili di legno per ospitare gli spettatori, solitamente addossate su un colle per sfruttare al meglio il pendio naturale, la scena disposta perpendicolarmente all'asse della cavea, dove avveniva l'azione teatrale. Inizialmente strutturata in maniera molto semplice e in legno, divenne con il tempo sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. In origine, la sua funzione era quella di fornire agli attori un luogo riservato e appartato dove potersi cambiare e preparare senza essere visti dal pubblico; ma ben presto viene utilizzata come sfondo scenico e, a partire dal 425 a.C., fu costruita in pietra e con maggiori ordinamenti; l'orchestra, spazio centrale del teatro greco posto tra la cavea e la scena, dotato di corridoi laterali di accesso (parados) riservati al coro, dove al centro di essa era situato l'altare di Dionisio.

Il teatro greco era privo di copertura e, all'occorrenza, poteva avvalersi per la realizzazione di alcuni effetti scenici di rudimentali macchine per il sollevamento degli attori, di piattaforme scorrevoli e/o di svariate tipologie di congegni come quelli per la simulazione di fulmini e tuoni, L'odeon invece era una particolare costruzione destinata a concerti musicali e a spettacoli di recitazione al coperto di dimensioni molto inferiori al teatro, di forma quadrata con tetto in legno contenente una ripida gradinata ad archi circolari concentrici. Anche questa struttura era costruita su terreni in pendenza, affinchè il pubblico entrasse dall'alto e gli esecutori dal basso.

IL TEATRO NELL'ANTICA ROMA.

La disposizione della scena nel teatro di epoca romana non si discostava di molto rispetto al mondo greco, se non per alcune varianti architettoniche dovute al modificarsi delle varie rappresentazioni sceniche. In particolare, lo spazio destinato all'architettura si fece sempre più ridotto a causa della minore importanza attribuita al coro nello spettacolo, trasformandosi in un'imponente fronte scenica a più piani, ricca di statue e decorazioni in marmo, la cui altezza, pari a quella della cavea, permetteva di poter fissare in determinati casi un grande telone a copertura del teatro stesso, per ripararlo dalla pioggia o dall'eccessivo sole, migliorando notevolmente l'acustica. Dietro al fronte scena prese forma il post - scaenium, uno spazio riservato ad attori e macchinisti. Alle gradinate si accedeva attraverso le aperture dei Vomitoria che segnavano l'attribuzione di una prima gerarchia nella disposizione dei posti a sedere, riservando i primi ai senatori e i rimanenti al pubblico, in ordine di importanza. Completavano l'allestimento un alto palcoscenico e un sipario, sconosciuto ai greci, che durante le rappresentazioni si abbassava in un apposito incavo.

I LUOGHI TEATRALI NEL MEDIOEVO.

A partire dal V secolo la disapprovazione cristiana per gli spettacoli pagani provocò la sostanziale dismissione degli spazi teatrali, dando vita a trasformazioni architettoniche e a cambiamenti di destinazione spesso irreversibili. Di conseguenza, il Medioevo è caratterizzato dalla mancanza di edifici teatrali appositamente costruiti e dalla decadenza di quelli romani, ma non dalla completa cessazione di ogni attività d'intrattenimento culturale. Nonostante la forte opposizione della Chiesa, rimaneva viva la tradizione dei giullari, giocolieri e menestrelli, che proponevano per lo più rappresentazioni profane e grottesche durante il periodo di Carnevale, esibendosi su semplici banchetti allestiti in taverne, nelle piazze e strade della città. Solo i più fortunati venivano assunti nelle corti, oppure chiamati in specifiche ricorrenze o in occasione di feste speciali.

Le rappresentazioni medioevali si avvalevano di una pluralità di luoghi preesistenti quali ad esempio chiese, piazze, vicoli e strade. Inoltre per i drammi sacri che si svolgevano nei luoghi di culto esistevano una serie di zone deputate e particolarmente significative da un punto di vista simbolico, identificate da particolari strutture appositamente costruite come le Mansiones, baracche di sette o otto metri di altezza destinate a rappresentare location reali come monti o fiumi, oppure altri particolari e suggestivi luoghi della Bibbia. Le architetture reali facevano da collante a palcoscenici per lo più caratterizzati da susseguirsi di scene fisse, alle quali il pubblico assisteva al di là di una solida e robusta balaustra, in grado di garantire uno spazio completamente libero davanti alla scena. Con il passare del tempo le Mansiones (piccole cose) si arricchiscono di botole, trabocchetti gru e fumo allo scopo di poter simulare resurrezioni, cadute dall'inferno, voli di angeli ed altri effetti speciali.

IL TEATRO NEL PERIODO RINASCIMENTALE.

Nel XVI secolo si assiste al progressivo passaggio da un luogo adibito progressivamente a sede di spettacoli (chiese, piazze, giardini, cortili, sale) all'edificio teatrale stabile. Tra la fine del Medioevo e il primo Rinascimento si registra altresì un sostanziale aumento d'interesse per il mondo del teatro, dovuto inizialmente al successo dello spettacolo religioso. In mancanza di una sede apposita, durante il periodo del Rinascimento cinquecentesco le rappresentazioni teatrali si svolgevano ancora in luoghi all'aperto, spesso nei cortili dei palazzi nobiliari i cui proprietari erano anche i principali fruitori, nonchè alle volte gli stessi attori e sceneggiatori. La scena essendo temporanea, era adagiata nel loggiato dei cortili, dove venivano usati particolari tendaggi che venivano aperti e chiusi durante gli ingressi e le uscite degli attori. Dopo la diffusione dello spazio prospettico e la creazione dei primi ambienti unitari, predisposti su appositi palcoscenici collocati in sale adibite allo svolgimento di feste durante cerimonie dinastiche o nell'ambito del Carnevale, si determinò, nel primo decennio del Cinquecento, una prospettiva centrale (quinte e frontale) il cui punto di fuga era posto ad un'altezza che coincideva perfettamente con la visione del principe seduto al centro della sala. Di conseguenza, gli spettatori potevano essere disposti in due differenti modalità: o con una gradinata collocata di fronte al palcoscenico o con tribune laterali per le donne e panche centrali per gli uomini con un palco sopraelevato per la principale autorità della festa.

Sul finire del secolo la scenografia trova, sul piano teorico una codificazione nelle tre scene prospettiche (comica, tragica, satirica), mentre sul piano della pratica costruttiva trovano la loro grande realizzazione monumentale permanente in legno della scena del Teatro Olimpo di Vicenza abbozzata da Andrea Palladio autore della cavea del teatro, realizzata da Vincenzo Scamozzi dopo la morte del maestro. 

La scenografia subisce una lenta evoluzione, grazie ai primi tentativi di introdurre la prospettiva e con la presenza di scene sia mobili che fisse. Per ovviare alla presenza di macchinari sempre più voluminosi, viene introdotta l'idea del retro palco.

IL TEATRO ALL'ITALIANA TRA SEICENTO E OTTOCENTO.

A cavallo tra il Seicento e il Settecento nascono i primi teatri gestiti da privati, ai quali è possibile accedere previo pagamento dei bollettini. Questa grande novità segna la fruizione dello spettacolo ad un pubblico più vasto e popolare. L'avvento dei primi teatri pubblici sconvolse anche i percorsi spettacolari delle città al tempo del barocco, in particolare a Venezia dove alcune famiglie nobiliari si fecero portavoce della gestione di queste strutture nuove e redditizie. L'Ottocento mantenne invariata la concezione architettonica dell'impianto teatrale, mutando da secoli precedenti la sala all'italiana a ferro di cavallo e ordini di pacchetti, visibile ad esempio al San Carlo di Napoli, al Teatro Massimo di Palermo e al Teatro alla Scala di Milano. Fu proprio in questa particolare epoca storica, che le principali innovazioni di carattere tecnologico diedero un forte impulso al perfezionamento dell'apparato scenico; l'utilizzo dell'energia idraulica prima e di quella elettrica poi favorirono lo sviluppo di soluzioni più agevoli per il movimento dei macchinari, ma anche e soprattutto per lo spostamento di scene già montate su palcoscenici mobili.

IL TEATRO DEL NOVECENTO.

Con l'inizio del nuovo secolo l'edificio teatrale tradizionale inizia ad entrare in crisi, manifestando tutta la sua inadeguatezza a rappresentare nuovi contenuti. Le nuove sperimentazioni spaziali mirano fin da subito a dotare di maggiore flessibilità l'edificio, arrivando in alcune occasioni all'abolizione della divisione fisica tra spettatore ed attore rappresentata dal boccascena, volendo rappresentare un ritorno verso gli antichi modelli del teatro greco che, senza arco scenico, permettevano di poter avere lo spettatore nel mezzo dell'azione drammatica.

Verso la seconda metà del secolo gli architetti non si concentrarono più sulla progettazione di edifici prettamente teatrali, ma diedero maggiore enfasi e importanza alla costruzione di strutture sempre più multifunzionali, in grado di unire assieme sale teatrali, cinematografiche, musei, biblioteche, sale riunioni e ristoranti. E' questo il caso dell'Opera House di Sydney, della Casa della Cultura di Grenoble e del Barbican Arts Centre di Londra.   

 

 

 

 

 

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Alleghe, una lunga scia di sangue scuote le Dolomiti Bellunesi.

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Nella piazza principale di Alleghe un paese situato nel cuore delle Dolomiti Bellunesi, esisteva l'Albergo Centrale, di proprietà della famiglia Da Tos: è proprio attorno a questo storico edificio che ruotano i protagonisti di un'atroce e incredibile storia di cronaca nera, realmente accaduta, che ha scosso per diversi anni la vita degli abitanti di questa rinomata località turistica di montagna. Fiore Da Tos un povero bracciante agricolo sposa per mero interesse la proprietaria dell'albergo Elvira Riva. Dopo il matrimonio la coppia ha due figli: Adelina la più grande d'età che lavora nella struttura di famiglia, moglie di Pietro De Biasi, e il figlio più piccolo Aldo titolare della macelleria all'angolo della piazza.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Tutto ebbe inizio la mattina del 9 maggio 1933. Alle 11:30 la tranquillità di questa splendida città in Provincia di Belluno venne sconvolta dal frastuono delle incessanti urla di disperazione di Adelina che, alquanto scossa e turbata, chiedeva aiuto in strada per la collega e cameriera Emma De Ventura che si era tagliata la gola con un rasoio nella sua camera d'albergo. La notizia si diffuse a macchia d'olio nel piccolo paese dove un tempo si conoscevano tutti. Avventori, curiosi e gli stessi clienti erano addolorati e sconvolti all'arrivo delle forze dell'ordine, del medico legale e delle altre autorità civili e militari incluso il segretario politico del Fascio Raniero Massi. Dopo una prima sommaria ricostruzione emerse che la giovane ragazza si fosse tolta la vita ingerendo della tintura di iodio, dopo aver avuto forti dolori al corpo che la spinsero velocemente a suicidarsi, con un unico e profondo fendente.
Un'esecuzione da perfetto manuale se non fosse che più di una persona fece notare agli inquirenti come il flacone di veleno si trovasse appoggiato su una mensola della camera, mentre il rasoio era chiuso in un armadio riposto ad almeno sei passi di distanza dalla vittima, che riversava in posizione supina sul pavimento in una pozza di sangue. La stessa autopsia rivelò la presenza di alcune tracce di tintura nello stomaco di Emma e, nonostante le evidenze, le autorità confermarono la tesi del suicidio e l'archiviazione del caso.

Un'altro episodio alquanto strano e all'apparenza misterioso si verificò il 4 dicembre del 1933. Il freddo pungente di quei giorni aveva ghiacciato le acque del lago di Alleghe. Fu così che due ragazzini decisero di approfittarne per andare a pattinare. Non fecero in tempo di avvicinarsi all'imbarcadero che uno dei due notò subito qualcosa che sporgeva in una parte del lago risparmiata dal gelo. Incuriosito il bambino si avvicinò, notando il cadavere di una donna. Anche in quest'occasione la gente del paese non tardò ad arrivare sul posto; tra i tanti curiosi spettatori c'era anche Pietro De Biasio, marito di Adelina Da Tos, che da lontano riconobbe che la vittima era Carolina Finazzer, novella sposa di Aldo Da Tos, il figlio minore dei proprietari dell'Albergo Centrale. I due, proprio il giorno precedente, decisero inaspettatamente di interrompere il viaggio di nozze per richiesta di Carolina che, rientrata visibilmente turbata in città, pareva dovesse avere un'imminente incontro con sua madre di lì a poche ore. Gli investigatori avanzarono per la seconda volta l'ipotesi del suicidio, sostenuto dal fatto che la donna soffrisse di una forte depressione e di sonnambulismo. Questa tesi non convinse per nulla gli stessi familiari della vittima, che fecero notare alcune evidenti incongruenze come il ventre trovato privo d'acqua al suo interno, i denti stretti e la presenza di lividi sul collo della ragazza. Anche il medico condotto notò quei segni ma non volle soffermarsi più di tanto ad esaminarli, sostenendo che quelle tracce potevano essere riconducibili a delle macchie dovute ad un inizio di putrefazione. Una cosa che sembrò alquanto strana e priva di fondamento a tutti, visto che Carolina venne ritrovata solamente poche ore dopo la sua morte e, per di più, immersa nelle acque gelide del lago. Ma anche in questa circostanza nessuno volle indagare ulteriormente: anche Carolina Finazzer si suicidò. Caso chiuso.
Questi due delitti furono in più occasioni accostati dagli abitanti di Alleghe ad altrettante morti sospette avvenute in circostanze misteriose, come quella di Paolino Da Riva detto il Gobbo e di Guido Gardenel, il garzone del macello di Aldo De Tos.

Il paese sembrò presto tornare alla sua solita normalità: dall'ultimo delitto passarono ben tredici anni, fino a che successe nuovamente qualcosa di inaspettato. Era la notte del 18 novembre 1946 e Luigi Del Monego assieme alla moglie Luigina De Toni, conosciuti da tutti come Gigio e la Balena, allo scoccare della mezzanotte avevano chiuso le porte del circolo Enal e si apprestavano a far rientro a casa in prossimità del Vicolo La Voi. Improvvisamente si udirono due spari ravvicinati: i due coniugi vennero freddati a poca distanza uno dall'altro. Nessuno in paese sembrò sentire rumori quella notte. I due corpi vennero ritrovati all'alba della mattina successiva da Angelo De Toffol, fruttivendolo e cognato della Balena. Anche questo venne ritenuto un caso all'apparenza molto semplice e scontato, dato che dalla borsetta della signora era stato rubato l'incasso della serata: le conclusioni furono rapina a carico di ignoti. Nei giorni seguenti vennero anche fermati alcuni indiziati tra cui Luigi Verocai, un latitante evaso dal carcere prima della condanna in contumacia per un'altro omicidio, che però venne rilasciato per mancanza di prove a suo carico. Ovviamente anche in questo delitto le cose non tornavano: gli spari erano stati simultanei ma i cadaveri si trovavano piuttosto distanti tra loro, dando l'ipotesi di un agguato piuttosto che di una rapina. Altro caso chiuso senza indagare a fondo. 

Due suicidi e altrettanti omicidi a scopo di rapina: ecco i delitti di Alleghe che vennero sussurrati da tante persone del paese, ma che al tempo stesso rimasero inespressi a lungo nella bocca degli abitanti per paura di ritorsioni, fino a quando Sergio Saviane, giovane aspirante giornalista con un trascorso di gioventù ad Alleghe, apprese la notizia dalla stampa locale di quest'ultimo assassino, decise di iniziare a far luce su questi fatti di cronaca. 
Saviane si fece presto convinto che i delitti fossero tra loro collegati e compiuti da una stessa mano: ma quale? Fu proprio il suo amico barbiere, Bebi Checchini, a persuaderlo ad indagare più a fondo e a scrivere delle memorie per far conoscere queste tristi e misteriose vicende di cronaca giudiziaria. 

Il 13 aprile 1952 venne pubblicato l'articolo "La Montelepre del Nord" a firma Saviane che ipotizzava l'esistenza di un filo che collegava le morti di Emma De Ventura la giovane cameriera dell'Albergo Centrale, della cognata della titolare Carolina Finazzer e dei due coniugi gestori del bar con un esplicito riferimento all'omertà degli abitanti per paura di subire possibili minacce o ritorsioni. Nel dicembre dello stesso anno Saviane venne citato in giudizio per diffamazione, che gli costò otto mesi di reclusione, il pagamento delle spese processuali e un cospicuo risarcimento economico alla famiglia De Tos per danni morali. Dopo questo duro affronto sembrava che su Alleghe fosse arrivato il fatidico momento per chiudere nuovamente il sipario, lasciando che il trascorrere del tempo dissipasse ogni ombra su questa vicenda. Ma non fu così; l'articolo attirò l'attenzione di Enzo Cesca il giovane brigadiere della stazione dei carabinieri di Agordo, che assieme al comandante il maresciallo Domenico Uda riaprirono le indagini sotto copertura. 

Il brigadiere, un volto non ancora conosciuto in paese, si recò in incognito ad Alleghe, trovando lavoro come operaio. Frequentando le osterie del centro riuscì a raccogliere degli ulteriori elementi investigativi. In giro si raccontava che i coniugi Del Monego vennero uccisi per aver visto troppo da Giuseppe Gasperin; Cesca riuscì a conoscerlo e proprio quest'ultimo gli confidò che nel Vicolo La Voi abitava una signora, Carolina Valt, che poteva sapere qualcosa in più sull'omicidio della coppia. Per arrivare alla Valt, il giovane brigadiere si fidanzò con la nipote e, dopo essere aver conquistato la fiducia di Carolina, l'anziana donna gli rivelò che la notte del delitto aveva visto tre individui nel vicolo, uno dei quali era proprio Giuseppe Gasperin. A seguito di questa rivelazione, l'uomo venne convocato in caserma e, di li a poco, arrestato. Gasperin rivelò i nomi dei responsabili degli altri atroci delitti portando, nel 1958, in carcere Pietro De Biasio, il marito di Adelina, Aldo Da Tos e, pochi mesi dopo, anche la stessa Adelina accusata di aver ucciso la giovane cameriera dell'Albergo Centrale. La magistratura ritenne che Carolina Finazzer fosse stata strangolata da Pietro De Biasio, con l'aiuto dei fratelli Da Tos, perchè durante il viaggio di nozze il marito le aveva accennato dell'omicidio di Emma De Ventura e lei non aveva reagito bene, dando segni di paura, e così i Da Tos decisero di farla fuori. I coniugi Del Magro vennero uccisi perchè la notte del 4 dicembre 1933, avevano visto Aldo portare in spalle il corpo della moglie morta verso il lago e, a distanza di ben tredici anni dall'accaduto Aldo De Tos, Pietro De Biasio e Giuseppe Gasperin posero fine alla loro esistenza.

IL PROCESSO

L'8 giugno 1960, la Corte d'Assise di Belluno, riconobbe colpevoli Aldo e Adelina Da Tos e Pietro De Biasio, condannandoli alla pena dell'ergastolo. Aldo e Pietro furono ritenuti gli esecutori della morte di Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego, mentre Adelina solo della morte di questa donna in quanto l'omicidio di Emma De Ventura era caduto in prescrizione. Giuseppe Gasperin venne condannato a trent'anni di galera di cui sei gli furono condonati per aver contribuito, con la sua confessione, all'arresto degli altri responsabili. Durante il processo d'appello nel 1964 anche i Da Tos e De Biasio confessarono di essere gli esecutori materiali dei delitti, ma le loro pene vennero confermate anche dalla Corte di Cassazione, il 4 febbraio 1964. Aldo e Pietro morirono in carcere, mentre Adelina venne graziata nel 1981 dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, morendo nel 1988. Ma sui misteri di questi anni di terrore non tutto è stato ancora svelato: cosa avesse visto per meritare di morire la cameriera Emma De Ventura, rimane nel silenzio. Cosa avesse raccontato Aldo Da Tos alla neosposa Carolina Finazzer, rimane un mistero pure quello; di questa storia rimane solo il suo corpo ritrovato nel lago, strangolato altrove. Infine fu una pistola a chiudere per sempre la bocca ai coniugi Del Monego, con l'unica colpa di aver visto troppo quella fatidica sera. 

In questa storia piena di ombre, molti furono quelli che preferirono ascoltare solo poche voci; oppure nessuna. Sergio Saviane no. Lui le ascoltò tutte riportandole nel libro I Misteri di Alleghe (Mondadori per Pilotto - 1964). E per questo, oggi, grazie al suo prezioso e instancabile giornalismo d'inchiesta questa triste e agghiacciante vicenda può continuare ad essere letta e raccontata, affinchè rimanga nella memoria di tutti anche attraverso lo spettacolo teatrale unico in Italia di Roberto Faoro che in scena interpreta Sergio Saviane, Ho giocato a carte con l'assassino Sergio Saviane e i delitti di Alleghe, regia di Francesco Bortolini, musiche di Antonio Fiabane e Alberto Mambrini, luci e audio di Paolo Pellicciari. Di questo lavoro esiste anche un DVD (Ho giocato a carte con l'assassino, il film) girato nella splendida cornice della Sena, la piccola Fenice, il Teatro di Feltre sempre per la regia di Bortolini e coprodotto da Telebelluno.

I Misteri di Alleghe invece sono stati letti e registrati presso Radio Più di Taibon Agordino e sono disponibili in formato audio. Per la prima volta attraverso la voce di Roberto Faoro riecheggia nella vallata agordina e tra le vie di Alleghe il libro proibito, un omaggio sincero al grande giornalista dell'Espresso Sergio Saviane.

Forse un giorno sarà concesso e reso possibile portare il monologo di Faoro ad Alleghe, affinchè in qualche modo si chiuda questa terribile ferita che direttamente o indirettamente ha riguardato la vita di migliaia di persone e che fu una vicenda che fece il giro del mondo. Una ferita che continua a pulsare. 

 

 

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